La promozione dell’adozione delle tecnologie digitali è stata una priorità per il governo italiano negli ultimi anni. A tal fine, infatti, sono stati istituiti schemi governativi dedicati per finanziare le start-up digitali nonché per promuovere e finanziare l’Intelligenza Artificiale come mezzo per innovare le pratiche commerciali. Tali iniziative sono rivolte in particolare ai settori che, tradizionalmente, sono stati i cardini della business community italiana, come la moda, il cibo, l’arte e l’ospitalità, ma anche settori industriali specializzati.
In questo contesto, la blockchain in generale, e in particolare la sua applicazione nel campo delle criptovalute, è stata il fulcro degli ultimi sforzi del governo per promuovere l’innovazione. Tali sforzi, tuttavia, sono stati in parte ostacolati da una generale resistenza ad adottare nuovi sistemi di pagamento in un paese in cui il contante è ancora il modo più comune per saldare i conti, il che ovviamente potrebbe facilitare l’evasione fiscale.
Questa resistenza ha portato il governo a portare avanti il suo piano per trasformare l’Italia in una società senza contanti, approvando una legge che concede sconti significativi ai contribuenti che evitano di pagare in contanti. Sebbene una tale misura sia principalmente mirata a combattere l’evasione fiscale, molto probabilmente renderà i metodi di pagamento alternativi, comprese le criptovalute, più popolari tra il pubblico in generale. Tale programma governativo, soprannominato “Cash Back”, è stato ora messo in discussione poiché i critici affermano che non ha mantenuto le sue promesse di ridurre l’evasione fiscale, ma la pressione politica sta aumentando per mantenerlo in vigore. Un ulteriore impulso verso i pagamenti senza contanti è stato ovviamente provocato dalla crisi del COVID-19, durante la quale i contanti sono stati visti come un potenziale mezzo di infezione e gli acquisti online hanno garantito il pagamento digitale.
Normativa antiriciclaggio Criptovalute in Italia
L’Italia ha anche approvato una legislazione volta a introdurre una definizione legale di blockchain e smart contract. Infatti, con il Decreto Legge n. 135/2019, le tecnologie di contabilità distribuita (“DLT”) sono state così definite: “Tecnologie e protocolli informatici che si avvalgono di un libro mastro condiviso, distribuito, replicabile, contemporaneamente accessibile, con un’architettura decentralizzata basata sulla crittografia tale da consentire la registrazione, la validazione, l’aggiornamento, la conservazione di dati verificabili da parte di ciascun partecipante, inalterabili e non modificabili.” Naturalmente, un tale tentativo di fornire una definizione legale di DLT è stato accolto in modo critico da un certo numero di commentatori, ma il governo ha informalmente segnalato che sarebbe lieto di modificarlo se necessario. In particolare, i critici hanno sottolineato che la definizione di DLT non sembra includere blockchain autorizzata in cui, a seconda delle regole di governance applicabili, gli amministratori possono essere autorizzati ad alterare i libri mastri, in determinate circostanze.
Dlgs n. 135 del 2019 fornisce anche una definizione di smart contract come programma software che opera su DLT e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più soggetti sulla base di accordi predeterminati tra le stesse parti. Gli smart contract soddisfano il requisito scritto, come previsto dalla legge italiana in determinate circostanze, mediante l’identificazione digitale degli interessati secondo alcune linee guida che saranno emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale, ente governativo incaricato di supervisionare e promuovere l’adozione di tecnologie digitali innovative in Italia. In generale, la pandemia di coronavirus ha costretto le piccole e medie imprese italiane ad abbracciare l’e-commerce e l’innovazione digitale, con molti commentatori che prevedono nuovi casi d’uso della blockchain.
L’ordinamento italiano non prevede una definizione generale di criptovalute (sebbene, come analizzeremo in seguito, siano state introdotte definizioni settoriali). Pertanto, i commentatori hanno discusso se le criptovalute debbano essere considerate come valuta o merci da un punto di vista legale. Questo non è solo un problema teorico, in quanto avrebbe un effetto immediato su diversi livelli, incluso se le criptovalute siano o meno mezzi di pagamento adeguati. Dopo anni di dibattiti e incertezze, sembra ormai raggiunto il consenso nel senso che le criptovalute sono soggette allo stesso regime giuridico delle valute che non hanno corso legale in Italia, ad es. valute obsolete, come la lira italiana, che è stata sostituita dall’euro, e valute di un altro paese. In base a questa teoria, se un pagamento contrattuale è stipulato in una criptovaluta, mentre il creditore non ha diritto al pagamento in una valuta diversa da quella contrattualmente pattuita, il debitore può effettuare il pagamento anche nella valuta avente corso legale al cambio tasso della data in cui l’obbligazione di pagamento diventa esigibile. Sebbene, ad oggi, nessuna giurisprudenza abbia confermato tale teoria, essa è stata applicata in una sentenza arbitrale((Hyperlink).
La natura giuridica di Bitcoin e delle criptovalute in Italia
Per quanto riguarda la natura giuridica delle criptovalute, va sottolineato che i tribunali italiani non si sono sempre allineati con la maggioranza dei commentatori. La Suprema Corte di Cassazione, infatti, molto recentemente ha considerato la vendita online di bitcoin come una promozione di Strumenti Finanziari, mentre il Tribunale di Firenze ha etichettato alcune criptovalute, che erano detenute in deposito presso un e-wallet e exchange divenuto poi insolvente , come “beni fungibili” (Trib. Firenze, sentenza n. 18 del 2019).
Degna di nota anche la sentenza del Tribunale di Brescia del 2018 (decreto n. 7556 del 18 luglio 2018) con la quale il Tribunale ha chiarito i requisiti che devono possedere i crypto asset per poter essere versati a titolo di capitale sociale di Società una responsabilità Limitata (in senso lato, l’equivalente italiano di una società a responsabilità limitata). In effetti, la Corte ha confermato che le criptovalute possono essere versate come capitale sociale a condizione che il loro valore sia determinabile, tipicamente come determinato negli scambi ampiamente utilizzati. Pertanto, la richiesta di alcuni azionisti di aumentare il capitale sociale della società pagando in determinate valute che avevano appena creato e negoziato su uno scambio di criptovalute molto piccolo e fatto in casa è stata annullata dalla Corte. Quanto alla determinazione della natura giuridica delle criptovalute, la sentenza del Tribunale di Brescia non ha fatto ulteriori chiarimenti, limitandosi a ricordare che secondo la normativa italiana sia i beni che i servizi, oltre al contante, possono essere versati a titolo di capitale sociale.
Sebbene, in ambito politico, si sia parlato di adottare “criptovalute parallele”, non ne è mai venuto fuori nulla per paura che la loro attuazione influisca sulla politica monetaria che, essendo l’Italia un paese dell’area dell’euro, è il responsabilità esclusiva della Banca Centrale Europea.
📌 Ricerche correlate:
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